Ombra e desiderio (I)
Il cinema hollywoodiano fatto di star come Marilyn, per i francesi della Nouvelle Vague è un mondo da superare, infantile e illusorio.
Ne Il disprezzo di Godard (1963) il contrasto viene consegnato al pubblico con la giustapposizione di mito greco e realtà incarnata, mentre vengono svelati i meccanismi del cinema al cinema.
In questo riadattamento cinematografico dell’opera di Moravia, le persone si guardano e si giudicano - come afferma lo stesso Godard - a loro volta guardate e giudicate dal cinema impersonato da Fritz Lang, la coscienza del film. Scrive il cineasta sui Cahiers (1963): “Lang rappresenta tutto il cinema. Il disprezzo è un film sul cinema”.
La storia del desiderio che si trasforma nella sua ombra, il muro dell’implicito nella coppia che crea un malinteso così grave da generare disprezzo: il peggiore dei "quattro cavalieri dell’apocalisse" di cui parla Gottman, il veleno che più di tutti porta le coppie alla separazione.
La macchina da presa scruta e denuda la borghesia moderna attraverso i colori primari tanto amati da Godard. Un film che punta lo sguardo sulle polarizzazioni: desiderio e ombra, amore e disprezzo, arte e consumismo.
Vita e arte confluiscono: il matrimonio tra Godard e Anna Karina nella realtà, quello tra Paolo e Emilia nel film; il film di Godard e i produttori che vogliono Bardot nuda (e i produttori italiani che lo censurano); il cinema di Lang e le pretese di Prokosch nel film.
Qui e ora, presente, responsabilità, consapevolezza. “Nel cinema, come nella vita, non c’è che da vivere e da filmare” - scrive Godard (1963).
...Parola di gestalt-analista!