L’insuccesso degli sforzi pur generosissimi

CHRISTOPHER NOLAN: OPPENHEIMER

Nell’ultima sofisticata opera di Nolan, la fissione alla base della bomba atomica può essere una metafora della scissione-dicotomia di cui Oppenheimer è portatore e che accompagna tutta la vicenda.

Il colore e il bianco&nero sono tra gli strumenti che il regista utilizza per caratterizzare le diverse story line per tutta la durata del film: “come la divinità induista dalle tante braccia Viṣṇu, che Oppenheimer cita dalla Bhagavadgītā, ci sono tre o quattro linee narrative parallele in armonia con la musica” (filmcompanion, trad. nostra). Nolan inserisce il verso della Bhagavadgītā durante l’intimità tra Oppenheimer e l’amante Jean, scelta molto criticata da una parte della comunità induista: Uday Mahurkar di Save Culture Save India Foundation ha infatti scritto una lettera al filmaker chiedendogli di rimuovere la scena definita “un attacco all’induismo”. Oppenheimer riportò davvero quel verso della Bhagavadgītā in un discorso tenuto in seguito alla delibera dello sgancio dell’atomica: “Ora sono diventato morte, il distruttore del mondo”. La scelta di Nolan di integrare la citazione in una scenario diverso è forzata e tuttavia di interesse psicologico perché mette Eros e Thanatos, energia creativa e distruttività, pubblico e privato, individuale e collettivo nella stessa stanza. Lo stesso passo della Bhagavadgītā menzionato richiama il dualismo e l’ambivalenza attraverso l’immagine di Viṣṇu che nel riferirsi all’impresa da portare a termine, la guerra, si mostra nel suo aspetto distruttivo. Il parallelismo con il vissuto di Oppenheimer è didascalico e terribile: i tentativi scientifici di porre fine alla guerra creano una escalation esplosiva: un'energia slegata concretamente distruttiva. Nella lettera “Perché la guerra?” che Einstein scrive a Freud nel 1933, il Premio Nobel si interroga su come raggiungere la sicurezza internazionale e riflette sulla necessità che ogni Stato “rinunci, entro certi limiti, alla propria libertà d’azione, vale a dire alla propria sovranità” per aggiungere poi: “L’insuccesso degli sforzi pur generosissimi (…) profusi per raggiungere questa meta ci fa concludere senza ombra di dubbio che agiscono in questo caso forti fattori psicologici che paralizzano gli sforzi”. Einstein si riferisce qui allo “smodato desiderio di potere politico” - come scrive poche righe più avanti.

La fotografia large scale di van Hoytema per i luoghi e i primissimi piani trascina il pubblico dentro il film e dentro gli stati psicologici dei protagonisti e le alternanze intense di suono e silenzio contribuiscono fortemente all’impressione di grandiosità della storia narrata.

Il dualismo incarnato da Oppenheimer potrebbe anche simboleggiare la spinta distruttiva e le forze creatrici che convivono in modo contraddittorio nell’animo umano.

Come scrive Melanie Klein, siamo mossi da una pulsione aggressiva fatta di possesso, controllo e distruzione dell’oggetto, frutto di fantasie paranoidee a carico di un Io arcaico che si vede attaccato dai propri stessi impulsi. La motivazione alla realizzazione della bomba atomica e della sua deflagrazione sembra essere mossa proprio da quella fantasia di attacco, un gioco di proiezioni schizo-paranoidee. Per poi passare ad una posizione depressiva (“cosa abbiamo fatto?!”). L’ansia non è più di tipo persecutorio ma depressivo perché generata dal senso di colpa che nel caso del bambino è aver fantasticamente distrutto l’oggetto, la madre, nel caso cinematografico - e reale - ucciso concretamente migliaia di persone e causato conseguenze catastrofiche nei sopravvissuti.

Gli atti riparatori messi in atto da Oppenheimer (e quelli del bambino nei confronti della madre), con ripensamenti e tentativi di tornare sui propri passi, non sono più dettati da stati affettivi distruttivi ma volti a ristrutturare un oggetto intero e non più scisso. L’amaro che le ultime immagini ci lasciano in bocca forse ci parlano di un tentativo di far tacere una dissonanza cognitiva, un fardello che il nostro protagonista non è riuscito a scrollarsi di dosso.

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