Farsi ombra per creare identità
Following è il primo lungometraggio di Nolan, un film “sussurrato” che racconta di Bill, uno scrittore che cerca ispirazione seguendo estranei a caso, diventando la loro ombra: shadowing.
Bill sembra scegliere a caso chi seguire. È solo quando qualcuno si accorge di essere pedinato che il protagonista deve davvero fare i conti con l’Ombra. L’uomo si chiama Cobb e mette lo scrittore all’angolo chiedendogli perché lo seguiva. Bill prova a rubare parti dell’identità di altri in maniera strumentale “rubando” informazioni a scopo creativo per i suoi libri e Cobb fa il ladro di professione: a suo dire, ruba per far sì che le vittime possano riconsiderare le loro vite alla luce di ciò che possedevano di cui lui le priva. Cobb assume il ruolo di una sorta di “moralizzatore”, ha alienato ogni forma di empatia e persegue senza colpi d’arresto la sua fantasia da giustiziere, con non poco sadismo. Solo così, a gamba tesa, entra a far parte della vita degli altri, senza mostrarsi, rubando esperienze, esclusivamente quando l’altro non c’è, controllando in un certo senso, da lontano, tenendo in pugno l’altro attraverso giochi perversi, nutrendosi di una ulteriore esperienza immaginifica e deflessa, evocando il dramma, nutrendosi del dolore dell’altro.
Nessuno dei due ruba per soldi. Bill affascinato e guidato dal “guru educatore”, comincia a sua volta a scassinare gli appartamenti, tra cui quello di una donna di cui si innamora, che farà in modo di conquistare. Le inquadrature di Following, incorniciate, rapide o posate, sembrano guidare il pubblico, attraverso una lente d’ingrandimento, dentro qualcosa di sconosciuto ma altrettanto intimo, come per scavare nel profondo dell’animo umano. La narrazione, senza rispettare una cronologia figlia delle aspettative razionali, procede andando avanti e indietro, a macchia di leopardo, proprio come un percorso terapeutico, in cui si scoprono frammenti di storia personale senza un’ordine preciso. In ogni passaggio, in terapia come nel film, c’è un incontro con l’Ombra, un’immersione a più profondità, una identificazione. La scelta cromatica della pellicola in bianco e nero ci mantiene in una posizione di inferiorità, intesa junghianamente: tutto ciò che è scuro, meno illuminato, un viaggio negli inferi personali. Evitiamo gli spoiler, ma riveliamo che la trama evolve caoticamente tra Ombra e coni d’ombra della memoria, portandoci costantemente a interrogarci. Che sta succedendo? Chi ha rubato l’identità a chi? Chi insegue chi? Ma soprattutto: quando?
In un’intervista su Observer Nolan afferma: “Il cinema ha questa capacità straordinaria di cambiare e manipolare i sentimenti delle persone sul tempo mentre guardano un film” (trad. nostra).
Nolan spesso manipola il tempo creando scenari confusi e spiazzanti: grazie a una sequenza non convenzionale e non lineare, fatta di avanti e indietro e inversioni temporali, a volte possiamo sentirci come in un sogno.
Durante il film, all’uscita dal cinema (o al risveglio) proviamo a mettere ordine, a dare senso e integrare le scene e ciononostante rimane un mistero. “La macchina da presa ci può regalare uno sguardo completamente diverso sul mondo in cui viviamo (…) La cosa interessante dei film - soprattutto thriller - è che non devi capirne ogni singolo aspetto. Devi fare un viaggio, attraversare il labirinto, capire quel che hai bisogno di capire” (Nolan in un’intervista su npr, trad. nostra).
Il tempo altamente plastico di Nolan, insieme al suo stile documentaristico e al bianco e nero, rendono Following una prima opera onirica e a tratti ansiogena.
È proprio il regista angloamericano a esprimere nel modo migliore il superpotere del cinema: “La macchina da presa è una macchina del tempo. Cattura il tempo. Nessuno prima della sua invenzione aveva visto il tempo andare all’indietro, al rallentatore, velocizzato” (Nolan su cbr, trad. nostra).
Bill forse si è identificato con l’Ombra (personificata da Cobb) finendone succube. Mentre Bill appare inconscio, Cobb sembra un manipolatore più consapevole. Ritroviamo questa figura del burattinaio nel personaggio di Lewis Strauss in Oppenheimer. Governati dalla mania di grandezza, sembrano dire: io sono al di sopra di tutto, nessuno può ferirmi, offendermi, mettersi al mio pari, rispecchiarsi in me, nessuno può con-fondersi con me.
In Following Cobb usa Bill e in Oppenheimer il mondo politico-militare usa il mondo della ricerca scientifica. La traiettoria dei due film, se pur con mezzi cinematografici molto diversi, mostra l’innesco, l’evoluzione e il catastrofico esito dell’inarrestabile reazione a catena di eventi che a cascata distruggono la vita di Bill in Following e il mondo in Oppenheimer.
Chissà se Nolan, come Calvino, come noi di una certa classe di età, nel costruire la regia delle sue narrazioni, ha preso spunto da un’esperienza vissuta da bambino quando al cinema si poteva entrare a film iniziato.
Calvino ce lo chiarisce così:
“Possiamo dire che già a quei tempi precorrevamo le tecniche narrative più sofisticate del cinema d'oggi, spezzando il filo temporale della storia e trasformandola in un puzzle da ricomporre pezzo a pezzo o da accettare nella forma di corpo frammentario. Per continuare a consolarci, dirò che assistere all'inizio del film dopo che se ne conosceva la fine dava soddisfazioni supplementari: scoprire non lo scioglimento dei misteri e dei drammi ma la loro genesi; e un confuso senso di preveggenza di fronte ai personaggi. Confuso: come appunto dev'essere quello dei divinatori, perché la ricostruzione della trama smozzicata non era sempre agevole, e meno che mai se si trattava d'un film poliziesco, dove l'identificazione dell'assassino prima e del delitto poi lasciava in mezzo una zona di mistero ancor più tenebrosa”.