Jojo Rabbit | Una volta nella vita

James Hillman scrive:

Le guerre non sono soltanto opera dell’uomo; testimoniano anche di qualcosa di intrinsecamente umano che trascende l’umanità, in quanto evocano potenze che sfuggono alla piena comprensione umana…è a causa di questa irruzione del trascendente che le guerre sono così difficili da dominare e da comprendere”.

I film che ho voluto mettere allo specchio sono Jojo Rabbit (2019) e Una volta nella vita (Les héritiers, 2014).

Jojo Rabbit è premio Oscar e BAFTA per la miglior sceneggiatura non originale, scritto, diretto e interpretato da Taika Waititi nelle vesti di Hitler, con Roman Griffin Davis, nel ruolo del protagonista Jojo e Scarlett Johansson nel ruolo della madre. Tratto dal romanzo del 2004 Il cielo in gabbia (Caging Skies) di Christine Leunens, già pubblicato col titolo Come semi d'autunno, il film è una “commedia” sul nazismo con protagonista un bambino e il suo amico immaginario che altri non è che Adolf Hitler.

Una volta nella vita, diretto da Marie-Castille Mention-Schaar, è tratto dalla vera storia di una classe di liceo multiculturale e con molti credo religiosi, litigiosa e indisciplinata, di una banlieue parigina che nel 2009, su impulso di una insegnante “particolare”, partecipò al concorso nazionale de la Résistance et de la Déportation, sul tema della Shoah vista dalla parte dei bambini e degli adolescenti.

Non vinceranno mai, l’amore è la cosa più forte al mondo

Rosie, la madre di Jojo (da Jojo Rabbit)

I due film sono molto interessanti e diversi allo stesso tempo: il primo affronta un tema reale e straziante con la chiave esilarante ed estetica della finzione scenica, da un punto di vista sia visivo che uditivo, si contrappongono alle scene di uccisione, scene di interni di un accurato e lussuoso designer dell’epoca e abbigliamento raffinato, nonché la fantastica colonna sonora, per coprire i suoni delle mitragliatrici. Il secondo affronta lo stesso tema reale, invece, attraverso una esperienza altrettanto reale, ma non meno fantasmatica. Entrambi i film hanno in comune lo sguardo del bambino/adolescente - Jojo Rabbit e gli allievi del liceo parigino - sguardo che si riflette attraverso il tempo, partendo dal “conflitto” bellico fino ai nostri giorni in cui viene rimembrato.

Il tema che più di tutti accomuna i due film e che troviamo in figura è l’olocausto, cioè il trauma collettivo, generato dalle crudeltà e dalla guerra intrinsecamente connesse le une all’altra, e sullo sfondo il trauma individuale, amplificato dalla guerra in quanto tale, e da una guerra sociale. La narrazione di Jojo Rabbit viene edulcorata e umanizzata, attraverso l’ironia, per riuscire ad entrarvi in contatto. Se guardiamo un Hitler così come dipinto e interpretato da Waititi, non si può fare a meno di sorridere e allo stesso tempo di osservare e riflettere. Jojo è un bambino indottrinato dalla propaganda nazista che volendo far parte di un gruppo di pari introietta senza poter discernere credenze razziali. Il regista è stupefacente nel rendere così inverosimili tali credenze al punto che lo spettatore non può far altro che rifiutarle a priori.

In Una volta nella vita ritroviamo queste credenze discriminatorie che generano conflitti tra le varie etnie dei compagni di classe che, oggi come ieri, ripropongono divisioni e negazioni di una unicità troppo spesso giudicata e delegittimata. Ma anche gli adulti, il preside e gli insegnanti, giudicano e censurano questi allievi “diversi”, senza dare loro la possibilità di esprimere le proprie aspirazioni, negandogli la fiducia e la possibilità di costruire un Animus sano, lasciandoli a ristagnare in un pantano ambientale ancor più deprivato. In chiave psicologica la censura dell’identità è qualcosa che mina la vera essenza di un individuo, impedendogli di spiccare il volo verso le proprie aspirazioni e potenzialità, relegandolo in una massa indifferenziata spesso familiare ma anche sociale. Quello che porta a censurare è spesso la paura, la paura dell’esistenza che viene proiettata sull’altro e ciò che non viene riconosciuto come proprio nell’altro va eliminato. Tutto questo a favore di un pensiero unilaterale.

Abbiamo potuto sperimentare in questi ultimi anni di pandemia, chi più consapevolmente, chi meno, quanto un pensiero unico, cioè privo di originalità, originalità che appartiene invece l’essere umano, abbia portato a divisioni e polarizzazioni, creando conflitti anche all’interno degli stessi nuclei familiari, rifiutando senza dialogo ciò che era diverso dall’opinione collettiva comune, e ben rappresentato nei nostri film. La paura di qualcosa di sconosciuto ci ha condotto ad ingoiare “verità” propagandate, rendendoci ciechi e agendo automatismi con la speranza che ci saremmo salvati, avendo fiducia in quelle istituzioni che ci ricordavano istituzioni più “familiari”. Ciò che depriva la nostra ricchezza individuale e altrui e censura diritti inalienabili è sempre da guardare con discernimento.

Jung scrive:

Quando predomina il fine politico, vuol dire che un fatto secondario è divenuto principale, che il singolo è stato ingannato riguardo alla sua vera destinazione (…) la società è la più forte istigatrice dell’incoscienza, perché la massa divora il singolo (…) lo stato totalitario non potrebbe sopportare neppure un istante che la psicoterapia si arroghi il diritto di aiutare l’uomo a realizzare la sua naturale destinazione”.

Rosie, la madre di Jojo (Scarlet Johansson) lascia esperire a Jojo la propria fantasia creativa, attraverso l’evocazione dell’amico immaginario (Hitler) e il voler appartenere alla classe di giovani nazisti, con cui Jojo cerca, in primis, di tenere a bada il proprio vissuto traumatico, la perdita del padre in guerra e la guerra stessa, e di darsi significati. Sembra un materno intento a edulcorare il tutto con rappresentazioni fantastiche che abbiano da una parte lo scopo di distrarre Jojo, ma che allo stesso tempo siano educative, cercando di scardinare, con l’amore, il “seme del male” che sta attecchendo nella giovane mente del figlio. Piano piano Jojo, aggrappatosi alla propaganda per lenire il trauma, inizia una relazione reale con la sua Ombra proiettata, rappresentata dalla ragazza ebrea. Attraverso lo scambio con lei, Jojo riesce ad uscire da una fantasia introiettata e ad avere il coraggio di stare in relazione con l’altro, un altro che spaventa, senza il timore che possa “abbandonarlo”, come ha già fatto il padre e poi la madre morendo. Jojo piano piano non avrà più bisogno di una relazione allucinatoria con l’altro, avendo costruito una propria immagine di sé e restituendo all’oggetto la propria totalità.

Anche in Una volta nella vita troviamo un compagno di classe che per sentirsi parte di un gruppo, essendo lui “sradicato”, cede alla dottrina razzista, agendo automatismi rabbiosi verso l’altro, sintomo di un profondo trauma personale.

Il messaggio ultimo in entrambi i film è positivo nel restituire all’umanità, capace di aberrazioni, anche la capacità restauratrice della propria essenza e la fiducia in sé stessa. Ciò avviene attraverso l’incontro con l’altro, nell’accoglienza del “diverso”, cioè del nuovo, rappresentato dalla ragazza ebrea Elsa (Thomasin McKenzie) in Jojo Rabbit e dalla professoressa Gueguen (Ariane Ascaride) che accoglie i suoi studenti senza discriminazioni e censure in Una volta nella vita, come in un percorso terapeutico.

Se accogliamo il nuovo nelle nostre vite ci diamo la possibilità di ampliare la nostra visione del mondo e di non aver paura di coltivare il nostro seme per farlo germogliare.

Il compito del terapeuta consiste - citando Jung - “nel nutrire questo germe, curandolo e coltivandolo finché esso sia in grado di svolgere la sua funzione nella totalità della psiche”.

Un esempio concreto di fioritura è rappresentato da uno dei protagonisti nonché ideatore del film francese, Malik (Ahmed Dramé), che nella realtà è stato uno di quegli allievi discriminati e che ha potuto credere nel suo sogno grazie alla base sicura offertagli da questa insegnante illuminata.

Scriveva Jung - attuale oggi come sarà nel futuro:

Proprio in quanto psicologi abbiamo anzitutto il compito e il dovere di comprendere la situazione psichica del nostro tempo e di scorgere chiaramente quali problemi e sfide ci sottoponga il presente. Anche se la nostra voce è troppo debole per farsi udire nel frastuono del tumulto politico, possiamo confortarci col detto del maestro cinese: <<Se chi ha fatto luce dentro di sé è solo, ma pensa in modo giusto, sarà udito mille miglia lontano>>”.

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